SCUOLA FORENSE DI CATANIA

FONDAZIONE "VINCENZO GERACI"

corso 2020


l'atto di appello nel rito ordinario e nel rito lavoro - tecniche di redazione


Avv. Francesco Isola

23 APRILE 2020

quest'opera è soggetta alla licenza Creative Commons Attribuzione - Condividi allo stesso modo 3.0 Italia


indice


1 - l'incontro con il cliente e la valutazione sulla proponibilità dell'appello
2 - i termini per impugnare
3
- le ricerche di giurisprudenza e di dottrina
4
- la forma dell'appello (ricorso o citazione)
5
- le indicazioni all'inizio dell'atto di appello
6
- il luogo di notifica dell'appello
7
- l'appello e gli scogli dell'inammissibilità ex art. 342 e 348 CPC
8
- come si scrive un atto di appello - il protocollo 10-07-2019 contenente linee guida per la redazione degli atti avanti la Corte d'Appello di Catania - settore civile
9
- due esempi pratici di motivi d'appello
1
0 - ammissibilità in appello di nuove domande, nuove eccezioni, nuovi documenti e nuove istanze istruttorie
1
1 - la c.d. inibitoria (o istanza di sospensione della esecuzione provvisoria)
1
2 - il petitum
1
3 - l'appello incidentale
14 - la notificazione in proprio dell'avvocato, a mezzo PEC ed a mezzo posta
1
5 - la comunicazione di avvenuta impugnazione
1
6 - l'iscrizione a ruolo telematica
1
7 - la decisione di secondo grado
18 - le sentenze che definivano gli appelli, nei due esempi sopra esaminati




Mi presento: sono l'avv. Francesco Isola.

Non sono un Professore di diritto: ed anzi mi trovo spesso nella necessità di studiare (o ristudiare) manuali, commentari e monografie ogni qualvolta debbo approntare valide difese, o chiarire complesse questioni giuridiche.

Sono invece - come lo sarete presto voi - un avvocato, che esercitando la professione e frequentando le aule di giustizia, ha acquisito una certa conoscenza degli aspetti artigianali del diritto, e delle strategie difensive.

Per questo motivo, invece di cimentarmi in una lezione teorica, mi limiterò a parlarvi degli aspetti pratici relativi alla proposizione di un appello.

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1 - L'incontro con il cliente e la valutazione della proponibilità di un appello


Il nostro primo approccio con un appello sarà l'incontro con il Cliente: il quale si rivolgerà a noi già convinto della assoluta opportunità di impugnare in appello la sentenza che gli ha dato torto, per la insipienza del Giudice o del difensore che ci ha preceduto, nonostante le sue sacrosante ragioni.

Se un avvocato non va tanto per il sottile, e non vuole perdere una occasione di lavoro, incoraggerà il cliente confermando - senza neanche leggerla - l'enormità della sentenza, gli farà sottoscrivere procura e varie informative, si farà consegnare un congruo acconto per spese ed onorari, e proporrà l'appello.

Del resto, se l'impugnazione dovesse essere respinta, gli sarà facile gettare le colpe sul Giudice d'Appello, o sul precedente difensore.


Un avvocato serio ed onesto, come dev'essere un buon avvocato, non si comporterà così: prima di accettare l'incarico, dovrà invece scoprire - attraverso lo studio degli atti di causa, e l'esame delle questioni giuridiche del caso concreto - se vi siano ragionevoli prospettive di vittoria in appello;

e, ancor prima, di verificare:

- che non si tratti di decisione inappellabile, come ad esempio le sentenze del Giudice di Pace pronunciate secondo equità su richiesta delle parti o quelle in materia di opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 CPC, contro le quali l'unico rimedio è il ricorso per Cassazione (1);

- che non si tratti di sentenza "passata in giudicato", per la quale esiste il solo rimedio della revocazione c.d. straordinaria (art. 396 CPC).

Se, dopo aver ultimato lo "studio della controversia" l'avvocato concluderà che l'appello non abbia ragionate probabilità di accoglimento e sia privo di una concreta utilità, non avrà soltanto l'obbligo di informarne chiaramente il cliente e di tentare di dissuaderlo dall'azione, ma farà benissimo - se quello insista - a declinare l'incarico.


Questa preliminare attività di studio comporterà un gravoso impegno, da compiere talvolta in tempi ristrettissimi: per non svolgerlo gratuitamente si potrebbe concordare con il cliente un acconto che copra solo questa prima fase, da integrare poi in caso di accettazione dell'incarico relativo alla proposizione dell'appello.

Se, ad una simile richiesta, perderemo il cliente, poco male: si tratta del peggior tipo di cliente, che ritiene l'avvocato un semplice esecutore dei suoi ordini (2), che non avrà mai fiducia in nessun avvocato, che non vi riconoscerà mai alcuna dignità e alcun merito, e che non vi pagherà nessuna parcella.


=o=O=o=


Prima delle riforme del codice di rito, iniziate con legge 353/1990, l'appello costituiva un vero e proprio secondo giudizio: le parti restavano vincolate alle sole domande svolte in primo grado, mentre potevano proporre nuove eccezioni non rilevabili d'ufficio, produrre nuovi documenti e chiedere l'ammissione di nuovi mezzi di prova.

Per come avete studiato, invece, l'appello consiste oggi soltanto in una verifica della correttezza della decisione impugnata, sulla base delle allegazioni e delle prove svolte in primo grado: nuove eccezioni sono ammissibili soltanto se riguardano questioni rilevabili d'ufficio, mentre i nuovi documenti ed i nuovi mezzi di prova sono ammessi solo in via eccezionale.

Le "sacrosante" ragioni del cliente, che si fondino su eccezioni non formulate, su documenti non prodotti (ovvero prodotti, ma disconosciuti dall'altra parte e per i quali non veniva richiesta la verificazione ex art. 216 CPC) e su prove non tempestivamente richieste entro i rigorosi termini perentori previsti dal codice di rito (ovvero non riproposte nella precisazione delle conclusioni), devono pertanto scartarsi a priori, spiegando al cliente e a noi stessi che si tratta di cadaveri, insuscettibili di resuscitare prima del "Giorno del Giudizio".

Proprio per conoscere quali argomenti, quali documenti e quali prove, venivano sottoposti al Giudice di primo grado, occorrerà esaminare gli atti del giudizio (gli atti introduttivi, ma anche le memorie istruttorie, gli scritti conclusivi e perfino i verbali di causa): attività faticosa, ma necessaria.


Solo dopo aver verificato che la decisione è erronea, si potrà cominciare la redazione dell'appello: utilizzando il materiale ottenuto con la ricerca per formulare nell'atto di appello - a pena di inammissibilità ex art. 342 e 434 CPC - precise confutazioni della sentenza impugnata e delle sue motivazioni.

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2 - i termini per impugnare


L'unica ipotesi di ammissibilità dell'appello, nonostante la decorrenza del termine di sei mesi dal deposito della sentenza, è quella in cui la parte sia rimasta contumace nel giudizio di primo grado e dimostri di non aver avuto conoscenza del processo per inesistenza, o nullità, della citazione o della notificazione (art. 327 co. 2 CPC): in tal caso il termine decorre dalla semplice conoscenza di fatto della sentenza (per esempio, con l'accesso dell'Ufficiale Giudiziario per l'esecuzione).


Il termine per l'appello si riduce da sei mesi a trenta giorni (art. 325 CPC), se la parte vittoriosa abbia provveduto alla notificazione della sentenza al difensore costituito della parte soccombente, oppure personalmente alla parte contumace (v. Cass. 5177/2018);

questo termine "breve", non decorre invece, per la parte costituita a mezzo di difensore, se la notifica della sentenza (in forma esecutiva) sia fatta alla parte, ai fini dell'esecuzione forzata.


Il termine "lungo" non riguarda, in pratica, le sentenze emesse nell'ambito del giudizio sommario di cognizione (art. 702 bis CPC): perché la semplice comunicazione di cancelleria, relativa al deposito della sentenza, essendo equivalente alla notifica a istanza di parte, fa decorrere il termine di trenta giorni.


A seconda della materia trattata (3), anche i termini per impugnare possono essere soggetti alla sospensione feriale (L. 742/1969): per effetto della quale i termini si computano come se i giorni dal 1° al 31 agosto non esistessero nel calendario, ad eccezione delle cause escluse, in ragione dell'oggetto, da tale sospensione (4).

Sarà utile ricordare come la sospensione operi anche per i cosiddetti "termini "a ritroso", come quello per la costituzione dell'appellato (almeno venti giorni prima dell'udienza indicata nella citazione in appello, o differita dal Giudice ai sensi del co. 5 dell'art. 168 bis CPC) (5).

Attenzione, quindi: qualora la data dell'udienza sia fissata nei primi giorni di settembre (p. es., 09-09-2020):

- nel caso di controversie per le quali si applica la sospensione feriale, la costituzione del convenuto andrà perfezionata entro il 20 luglio (oppure entro il 30 luglio, nel caso di abbreviazione dei termini);

- mentre nel caso di cause escluse dalla sospensione feriale, come quelle di lavoro, la costituzione sarà tempestiva ("almeno dieci giorni prima") se perfezionata entro il 30 agosto.

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3 - le ricerche di giurisprudenza e di dottrina


Nella fase di studio della controversia vi suggerisco, innanzitutto, di rileggere sempre, anche se li conoscete a memoria, gli articoli del codice, o di legge, che riguardano il caso che esaminate, come ho imparato da uno dei migliori Magistrati catanesi.

Scoprirete che, rileggendo una norma in relazione ad ogni fattispecie concreta, ogni articolo potrebbe svelarvi nuovi contenuti.


Subito dopo, sarà necessario verificare la giurisprudenza recente sulla materia oggetto del giudizio: e ciò perfino se abbiamo già fatto qualche tempo una analoga ricerca, non potendo correre il rischio di ignorare - ad esempio - che un orientamento della Cassazione, pur consolidato per molti anni, è recentissimamente mutato.


Per la ricerca di precedenti giurisprudenziali, non sarà di nessuna utilità utilizzare i motori di ricerca sul web: sarà invece indispensabile consultare una banca dati professionale, tra le molte in commercio, anche avvalendoci di quelle messe a disposizione degli avvocati dalla biblioteca dell'Ordine.


Ovviamente, non servirà a nulla citare - a sostegno dei nostri argomenti - una strampalata decisione del Giudice di Pace di Vattelapesca: gli unici precedenti giurisprudenziali autorevoli sono quelli della Corte di Cassazione, per la sua funzione nomofilattica, ai quali possiamo aggiungere eventuali decisioni di merito qualora le loro motivazioni approfondiscano l'argomento con completezza.


Primo consiglio: non limitate la vostra ricerca alle sole "massime", e ciò per due ordini di ragioni:

- perché le massime, infatti, (a meno che non riportino testualmente il "principio di diritto" affermato dalla Suprema Corte) non sono brani effettivamente contenuti nella sentenza, ma costituiscono una sintesi - non sempre congrua e talvolta perfino errata - della decisione da cui sono tratte;

- perché una lettura frettolosa (durante la quale è facile vedere solo ciò che si vuol vedere) potrebbe indurci a pensare che una massima si attagli perfettamente al caso nostro, mentre la decisione riguarda - al contrario - una fattispecie significativamente diversa rispetto a quella che ci occupa.

Ogni volta che troveremo una massima interessante, sarà necessario verificare, attraverso la lettura dell'intero provvedimento e l'analisi della motivazione, l'effettiva portata della sentenza: quindi, se si tratta di una decisione pertinente, sarà utile conservarne una copia, che ci servirà per la redazione dell'atto, e che potremo allegare allo stesso.


Ancora: non è raro il caso in cui un avversario furbastro, o un Giudice distratto, richiami specificamente una pronuncia della Cassazione, travisandone completamente - in malafede, nel primo caso, o per errore, nel secondo - il contenuto.

Verificare ogni precedente potrà forse costituire una perdita di tempo: ma - quando capita - poter criticare la tesi avversaria o la decisione sbagliata, citando (ed allegando) il reale contenuto della pronuncia citata a sproposito, non ha prezzo.


Secondo consiglio: evitate come la peste di usare l'espressione (pure diffusa anche tra i meno giovani): "per giurisprudenza costante della Cassazione (...)", senza indicare - quanto meno - una sfilza di sentenze.

Tralasciando di considerare che molto raramente la giurisprudenza è davvero costante, il sospetto di chi legge una simile affermazione è che non abbiate trovato (e che probabilmente non abbiate nemmeno cercato) alcun precedente a voi favorevole, e che stiate tentando di impressionare il giudice attribuendogli ignoranza e superficialità.

Quindi, poiché il Giudice conosce (o si va a cercare) la giurisprudenza a voi contraria, proverà probabilmente un sottile piacere a sbattervela in faccia scrivendo una sentenza sfavorevole, nonché martirizzando il vostro cliente con una esemplare condanna alle spese ed una ancor più cospicua sanzione ex art. 96 CPC.

Quando il nostro studio riguardi un argomento complesso, tuttavia, non sarà sufficiente la sola ricerca di giurisprudenza, ma occorrerà anche conoscere ciò che la dottrina scrive a quel proposito:

- innanzitutto, per poter comprendere a fondo (e non è quasi mai facile) le sentenze della Cassazione ed i principi di diritto da esse enunciate;

- in secondo luogo, per individuare non solo gli argomenti favorevoli alle nostre tesi, ma soprattutto prevedere quelli contrari, su cui si baseranno le difese del nostro avversario o l'orientamento del giudice di secondo grado.


Anche in tal caso, sarà assolutamente sconsigliabile limitarsi ad interrogare i motori di ricerca (il c.d. "Dottor Google") per trovare risposte: vi posso citare numerosi siti internet apparentemente tecnici, idonei soltanto a confondervi le idee, riferendovi delle sonore bestialità (6).

Alcuni di questi siti, infatti, sono curati da giornalisti bravissimi a cavalcare la notizia ad effetto, ma privi di alcuna preparazione giuridica;

mentre molti articoli sul web sono curati da laureati in legge tutt'altro che brillanti, che si preoccupano di accumulare pubblicazioni per conseguire punteggio utile nei concorsi, o da avvocati ansiosi di essere i primi - sulla base di una lettura frettolosa e superficiale - a commentare l'ultima sentenza della Cassazione.

In entrambi i casi, questi siti non ci permetteranno di comprendere la portata ed il significato delle sentenze commentate, e non arricchiranno per nulla la nostra cultura giuridica.


Il terzo consiglio è - quindi - quello di recarci presso la biblioteca dell'Ordine, iniziando a consultare e i commentari più diffusi e autorevoli (ad es., Enciclopedia del diritto, Novissimo digesto italiano, Commentario al codice civile a cura di Scialoja e Branca, il Trattato Rescigno, il Digesto delle discipline privatistiche e penalistiche), passando poi alle monografie citate dai commentari, o a quelle che il personale della biblioteca ci saprà indicare in relazione ad uno specifico argomento.


Qualche volta - ma assai raramente e rischiosamente - potrà essere ragionevole contestare un orientamento giurisprudenziale prevalente: ma una simile impresa, ardua e impegnativa, presuppone un solido fondamento teorico della nostra contestazione.

In questa ipotesi diventerà indispensabile - non solo per i novellini, ma anche per i vecchi avvocati - specializzare le proprie conoscenze attraverso lo studio di opere monografiche (e quindi molto più approfondite di un semplice manuale) sullo specifico tema: al solito, recandoci nella biblioteca del nostro ordine (se non pure, quando necessario, in quella dell'università).


Quando citeremo un autorevole precedente giurisprudenziale, a sostegno delle nostre difese, sarà assai opportuno indicarne gli estremi (p.es., Cassazione Civile, sez. Prima, n° 12345/2021), aggiungendo - se del caso - gli estremi della rivista ove risulta pubblicata o commentata (p.es., su Foro Italiano 2021, I, 1234): e possibilmente, allegare una copia della sentenza, magari evidenziando le frasi più significative, che riporteremo - tra virgolette - nel testo del nostro atto;

del pari, quando citeremo un brano di dottrina, specificheremo l'Autore, il titolo dell'opera (eventualmente indicando il numero del volume, in caso di opere suddivise in tomi), l'anno di pubblicazione e l'editore.

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4 - la forma dell'appello (ricorso o citazione)


L'appello va proposto depositando il ricorso, o notificando la citazione, a seconda della forma in cui - a torto od a ragione - sia stato trattato il giudizio di primo grado (anche per effetto del mutamento del rito disposto dal Giudice).

In virtù del c.d. principio di ultrattività del rito, infatti, se una causa da introdurre con citazione è stata introdotta in primo grado con ricorso (e il Giudice non abbia disposto il mutamento del rito), la corretta forma di proposizione dell'appello sarà quella del ricorso, e non quella della citazione;

nel rito del lavoro, dove la forma corretta è quella del ricorso, una causa introdotta con citazione e trattata con il rito ordinario (perché il Giudice non ha disposto il mutamento del rito) andrà appellata mediante citazione.


In realtà, l'eventuale errore tra la forma del ricorso e quella della citazione incide esclusivamente sul diverso perfezionamento della impugnazione:

- qualora la forma corretta sia quella della citazione, un eventuale ricorso sarà tempestivo se, entro il termine di decadenza, vengano notificati alla controparte sia il ricorso che il decreto di fissazione dell'udienza;

- qualora la forma giusta sia quella del ricorso, un eventuale citazione sarà tempestiva non già in base alla data di notifica, ma se la causa venga iscritta a ruolo entro il termine di decadenza.

La tardiva iscrizione a ruolo della causa (nel caso di citazione), così come la omessa notifica del ricorso/decreto (7) renderà irrimediabilmente improcedibile l'appello, così come avviene in tutti i procedimenti di impugnazione (compresa, per esempio, la opposizione a decreto ingiuntivo).

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5 - le indicazioni all'inizio dell'atto di appello


Negli atti introduttivi - grazie alle norme succedutesi nel tempo - si trovano delle indicazioni spesso erronee.

E' necessario, ovviamente, indicare il nostro nome e cognome, nonché il nostro codice fiscale; è obbligatorio (inspiegabilmente) indicare il nostro numero di telefax (che ben potrà essere un fax virtuale), essendo tale apparecchio ormai del tutto desueto.

Non è necessario (se non nel procedimento amministrativo e in quello tributario, nei quali l'indicazione di codice fiscale, PEC e telefax è sanzionata con l'aumento della metà del contributo unificato8), ma utile, indicare il nostro indirizzo di posta elettronica certificata: quello che non è assolutamente necessario (ed anzi è sbagliato) è scrivere che intendiamo ricevere le comunicazioni e le notificazioni al nostro indirizzo PEC, come era previsto (tra gli altri) dagli artt. 125 e 170 CPC.

In realtà, oggi, l'avvocato è identificato con il suo codice fiscale, al quale corrisponde l'indirizzo di posta elettronica certificata (che l'avvocato ha l'obbligo di comunicare al proprio Ordine, che a sua volta lo trasmette al Re.G.Ind.E.) che costituisce il suo domicilio: e la puntuale osservanza dell'obbligo - imposto all'Avvocato - di comunicare e mantenere efficiente la propria casella di PEC (9) viene assicurata dal fatto che le comunicazioni di cancelleria - in mancanza - si intenderanno effettuate con il semplice deposito dell'atto in cancelleria (art. 16, co. 6, D.L. 179/2012), dal quale decorreranno eventuali termini di decadenza.

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6 - il luogo di notifica dell'appello


Il luogo di notifica dell'impugnazione non è sempre il domicilio del difensore avversario: ai sensi dell'art. 330 CPC, infatti, se nell'atto di notificazione della sentenza la parte ha dichiarato la sua residenza, o eletto domicilio nella circoscrizione del giudice che l'ha pronunciata, l'impugnazione va notificata nel luogo indicato; e soltanto in mancanza di tale espressa indicazione, la notifica va fatta, ai sensi dell'art. 170, al difensore costituito nel giudizio di primo grado (al quale è sufficiente notificare una sola copia anche qualora assista più parti).

In caso di errore - comunque - resta la possibilità di sanare la nullità (ma non l'inesistenza) della citazione, ai sensi dell'art. 291 CPC.

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7 - l'appello e gli scogli dell'inammissibilità ex art. 342 e 348 CPC


Ai fini di ridurre il cospicuo carico costituito dai troppo numerosi appelli, il D.L. 83/2012, riformulando il primo comma dell'art. 342 CPC e, per il rito del lavoro, il secondo comma dell'art. 434 CPC, ha prescritto che l'atto di appello debba contenere a pena di inammissibilità:

- l'indicazione delle parti del provvedimento che si intende impugnare, e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado;

- l'indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge, e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.


Nella stessa ottica, lo stesso D.L. 83/2012 ha inserito l'art. 348 bis CPC, a mente del quale "l'impugnazione è dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta": tale norma è stata espressamente estesa anche al rito del lavoro, con l'inserimento dell'art. 436 bis CPC. Tali norme non si applicano nei processi che prevedono l'intervento necessario del Pubblico Ministero (art. 70 CPC), né alle sentenze emesse con il rito sommario (art. 702 quater CPC).


Molti avvocati hanno preso l'abitudine di eccepire, anche a sproposito, l'inammissibilità dell'appello in base a tali previsioni normative: coltivando la speranza che le Corti d'Appello ne approfittino per ridurre il proprio carico di lavoro.


Quanto all'art. 342 CPC e al contenuto necessario dell'atto di appello, tali aspettative vengono spesso deluse: laddove la Corte di Cassazione (da ultimo, con sentenza n. 795/2020) ha specificato che "non si rivela sufficiente il fatto che l'atto d'appello consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate, ma è altresì necessario, pur quando la sentenza di primo grado sia stata censurata nella sua interezza, che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con idoneo grado di specificità, da correlare, peraltro, con la motivazione della sentenza impugnata".

Non ogni critica al contenuto dell'appello, quindi, ne determina l'inammissibilità per violazione dell'art. 342 CPC: e tuttavia è sufficiente che - in sostanza - il difensore abbia chiaramente esposto quali capi della sentenza sarebbero errati ed i motivi della lamentata erroneità, in modo da porre il Giudice d'appello in grado di individuare l'oggetto del giudizio a lui demandato dall'appellante.


Più pericoloso si rivela l'art. 348 bis, che conduce nella pratica a frequenti e rapide ordinanze di inammissibilità, in tutti quei casi in cui il Collegio, per motivi di rito o di merito, ritenga l'appello immeritevole di essere preso in seria considerazione: il processo, in tal caso, si arresterà infruttuosamente a meno che, in presenza di una impugnazione incidentale che non sia parimenti inammissibile, non sia necessario procedere comunque nella trattazione.

Le conseguenze della ordinanza ex art. 348 bis CPC sono diverse:

- ai sensi dell'art. 348 ter, il provvedimento potrà limitarsi ad una succinta motivazione, anche mediante il rinvio agli elementi di fatto riportati negli atti di causa ovvero ai precedenti conformi;

- l'eventuale ricorso per cassazione non avrà ad oggetto il provvedimento della Corte (che si limita a ritenere l'appello immeritevole di una delibazione nel merito), bensì la sentenza di primo grado: occorrerà pertanto avere cura di produrre in cassazione, a pena di inammissibilità, tale sentenza nonché l'atto di appello e l'ordinanza della Corte d'Appello, in modo da consentire alla Cassazione di verificare che non si sia formato giudicato interno su eventuali capi non impugnati in appello;

- il ricorso per Cassazione potrà vertere esclusivamente sui motivi tassativamente previsti dall'art. 360 co. 1 CPC, e non certo sul merito della decisione, sottratto al sindacato di legittimità;

- il termine, entro il quale andrà proposto l'eventuale ricorso per Cassazione, è quello (breve) di sessanta giorni, decorrente dalla comunicazione (oggi, eseguita via PEC) della ordinanza, la quale produce lo stesso effetto della notificazione della sentenza ad istanza di parte (v. Cass. 24853/2019);

- se la ordinanza della Corte d'Appello abbia pronunciato l'inammissibilità per motivi di merito, condividendo le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado, con il ricorso per Cassazione non si potrà - per espressa previsione normativa - lamentare l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, co.1 n. 5 CPC): sicché (e questa è una conseguenza spaventosa, applicabile anche ad ogni caso in cui la Corte d'appello abbia confermato la decisione di primo grado), ove il giudice di primo grado abbia effettivamente omesso un simile esame, nessun ricorso per cassazione potrà proporsi per rimediare a tale omissione.


L'unica ipotesi (eccezionale) in cui la parte soccombente potrà impugnare avanti alla Corte di Cassazione la ordinanza ex art. 348 ter, ai sensi dell'articolo 111, comma 7, della Costituzione, riguarda i vizi propri della ordinanza costituenti violazioni della legge processuale (purché compatibili con la logica e la struttura del giudizio d'appello): non saranno, invece, deducibili errores in iudicando né vizi di motivazione (10).

Ovviamente, se la parte impugna in Cassazione la ordinanza ex art. 348 ter, anziché la sentenza di primo grado, si troverà esposta al rischio - qualora tale ricorso venga dichiarato inammissibile - di far passare in giudicato la sentenza di primo grado.

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8 - come si scrive un atto di appello - il protocollo 10-07-2019 contenente linee guida per la redazione degli atti avanti la Corte d'Appello di Catania - settore civile


Probabilmente, se il vostro atto di appello sarà composto di cinquanta pagine contenenti sfoggio di sopravvalutate capacità oratorie, il Giudice si limiterà a soppesarlo, si scoraggerà, e farà attenzione - a malapena - alle sue conclusioni finali.

Dobbiamo perciò tenere presente, nella redazione di qualunque atto, compreso l'appello, che anche le argomentazioni più dotte e fondate non approderanno a nulla, se non verranno espresse in modo chiaro, scorrevole e sintetico.

Certo, in pochi casi eccezionali, occorrerà scrivere parecchio (entro limiti sensati) per il numero e la complessità delle questioni trattate: ma è evidente che un atto corposo riuscirà a mantenere desta sino alla fine l'attenzione di chi legge, solo grazie ad uno stile perfetto, scorrevole, privo di ripetizioni e di inutili orpelli.


Una breve descrizione dello svolgimento del processo (che potremmo intitolare "IN FATTO"), limitata ai punti essenziali dell'oggetto delle domande, delle difese, e delle allegazioni delle parti, sarà utilissima per inquadrare la fattispecie, così come un riassunto della decisione impugnata (ponendo, sui punti critici di entrambi, un impercettibile accento): possibilmente dividendo tali argomenti in modo distinto.


A questo punto, specificheremo che la sentenza non è stata notificata ai fini della decorrenza del termine breve oppure, in alternativa, che è stata notificata nella tale data (in modo da consentire al giudice d'appello di verificare la tempestività dell'impugnazione), e che avverso di essa proponiamo appello, per i seguenti motivi (che, poiché - come detto - con l'appello non si riesamina la originaria domanda, bensì la sentenza di primo grado, sulla base di specifiche doglianze).


Eviteremo di formulare motivi vacui o pretestuosi (il giudice d'appello si contrarierà, e forse si indisporrà, se dovrà perdere tempo per spiegarci ciò che dovrebbe essere scontato), e ci limiteremo a mettere a fuoco i punti veramente importanti.

La mia abitudine è - da sempre - quella di dividere ogni atto in capitoli: distinguendo gli argomenti in modo da agevolarne la lettura.


=o=O=o=


Un altro accorgimento utile, sarà quello di sfruttare le potenzialità meno conosciute del processo telematico.

Immaginate il povero Giudice che, richiesto di esaminare un ricorso per ingiunzione di pagamento con allegati cinquanta documenti, o che - dovendo decidere una causa il cui fascicolo sia esclusivamente cartaceo, e composto da una mole notevole di documenti - debba - volta per volta - andarsi a cercare ciascun documento (nel primo caso, in cui il procedimento è esclusivamente telematico, passando dalla lettura del ricorso alla ricerca del documento tra i molti documenti allegati, per visualizzarlo sul monitor; nel secondo caso, sfogliando polverose risme di carta);

e di potere, invece, consentire che il Giudice, con un semplice "click" (per esempio, sulla scritta "vedi DOC_01"), possa aprire come per magia proprio quel documento.

Il trucco sta tutto all'interno del nostro atto informatico "nativo digitale": nel quale potremo inserire dei collegamenti ipertestuali con ciascuno dei documenti allegati (purché contenuti nel medesimo deposito), seguendo le semplici indicazioni contenute in molti siti di avvocati "telematici".

Potremo anche consentire una agevole navigazione all'interno dell'atto stesso: per esempio, prevedendo un indice per argomenti, ed apponendo dei "segnalibri" ad ogni sezione, che - mediante collegamenti ipertestuali - consentano di raggiungere ciascun argomento con un semplice click.


Potremo poi per esempio - anziché utilizzare il deposito cartaceo - digitalizzare il fascicolo di parte di primo grado, se a suo tempo realizzato in forma cartacea; ricordando che il fascicolo di parte di primo grado va necessariamente depositato (cartaceo o informatico che sia) perché il Giudice d'appello possa porre i documenti che lo componevano a base della sua decisione.

Un'altra possibilità è quella - insolita - di accludere degli allegati perfino alla comparsa conclusionale: non si tratterà ovviamente di inammissibili nuovi documenti ma, per esempio:

- di estratti di libri di dottrina, a sostegno delle nostre tesi giuridiche;

- di copie di precedenti giurisprudenziali a noi favorevoli;

- di documenti già acquisiti al nostro fascicolo di primo grado, ma che è utile ricordare al decidente (magari facendo risaltare le parti più salienti mediante l'evidenziatore di Acrobat Reader DC);

- di documenti contenuti nel fascicolo di parte dell'avversario, dai quali riteniamo di ricavare argomenti a noi utili, e che in tal modo possiamo richiamare all'attenzione del Giudice.


=o=O=o=


Alcuni di tali accorgimenti, che alcuni avvocati già adottavano, sono stati oggetto del protocollo, sottoscritto il 10-07-2019 tra il Presidente della Corte d'Appello di Catania ed i Presidenti degli ordini forensi del distretto (vedi): protocollo che - nel rispetto della libertà professionale dei difensori e dell’autonomia organizzativa dei giudici - si limita a dettare delle linee-guida in materia di tecnica di redazione degli atti difensivi, da una parte, e delle sentenze, dall'altra.


Il protocollo, sostanzialmente, auspica quanto segue:

- SINTESI: per elevare il livello di efficienza e speditezza del lavoro giudiziario, nel rispetto dell’effettività del contraddittorio, il protocollo promuove l'adozione di criteri di redazione sintetica degli atti difensivi;

- AGEVOLE LEGGIBILITA': il protocollo afferma l'opportunità che gli atti introduttivi (atto di appello e comparsa di risposta, contenente eventuale appello incidentale), nonché gli scritti conclusivi (comparse conclusionali, memorie di replica, note difensive ex artt. 437, 447 - bis c.p.c. e 2 del decreto legislativo n.150/2011, etc.) siano suddivisi in specifici paragrafi numerati (e recanti una specifica intitolazione), con la distinta esposizione degli argomenti trattati, e che le eventuali citazioni testuali (ad esempio, di documenti e/o di giurisprudenza) vengano graficamente evidenziate per distinguerle dal testo dell'atto;

e che gli scritti conclusivi, richiamando le vicende principali del processo e i termini essenziali delle questioni sottoposte all’esame della corte, valorizzino particolarmente sia le proprie controdeduzioni alle altrui prospettazioni, sia (anche con adeguate evidenziazioni grafiche) le novità fattuali e/o normative eventualmente sopravvenute o emerse nel corso del giudizio;

- AGEVOLE CONSULTAZIONE DEI DOCUMENTI: il protocollo auspica che i documenti prodotti o acquisiti vengano esplicitamente richiamati, se ritenuti rilevanti ai fini della difesa, con riferimento ad un indice numerato e titolato (in pratica, per una agevole consultazione dei documenti, un contratto o una lettera saranno separatamente indicati come "DOC_05, contratto 01-01-2000" e come "DOC_10, raccomandata 01-02-2000");

- UTILIZZO DEGLI STRUMENTI TELEMATICI: il protocollo sottolinea l'opportunità dell'utilizzo delle tecniche informatiche (collegamenti ipertestuali) atte sia ad agevolare la navigazione all'interno dell'atto (p.es., cliccando sull'indice, si passa al paragrafo indicato), che a consentire l'immediata visualizzazione di un documento richiamato nel testo o perfino una pagina web (p.es., una tabella dell'ISTAT, o una pubblicazione giuridica, o una gazzetta ufficiale);

- il protocollo infine, concorda sulla assoluta opportunità che i Consigli dell'Ordine del distretto promuovano, presso i propri iscritti, l'adozione delle dette tecniche informatiche: ricordando che l’art. 4, comma 1 - bis, del D.M. n. 55/2014 (introdotto dal D.M. n. 37/2018) prevede in tali casi l’aumento del 30% del compenso liquidabile.

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9 - due esempi pratici di motivi d'appello


I motivi d'appello potranno essere i più vari, ma andranno sempre correlati alla motivazione della decisione impugnata.

Qualunque sia la nostra opinione sulla sentenza, sarebbe assai opportuno (ed elegante), evitando di entrare in polemica con l'estensore, scrivere semplicemente "ha errato il Tribunale laddove ha/non ha considerato ...".

Un esempio pratico:

- una MEDIATRICE CREDITIZIA, aderente ad un certo network che a sua volta aveva stipulato una convenzione di mediazione con diverse Banche, poneva in contatto una DITTA con una certa agenzia catanese di un Istituto di Credito nazionale, per la conclusione di un grosso finanziamento destinato ad una costruzione edilizia, dell'importo di oltre due milioni di euro;

- in base alla convenzione, la mediatrice avrebbe riscosso - alla conclusione del contratto di mutuo - solo un indennizzo spese, mentre la provvigione vera e propria sarebbe stata corrisposta solo successivamente, all'atto di erogazione finale ed ammortamento del mutuo.

Dopo aver regolarmente ricevuto l'indennizzo spese, la Mediatrice non aveva più notizie circa la erogazione finale: apprendendo solo dopo diverso tempo che la Banca mutuante era stata assorbita da un'altra Banca (che chiameremo Incorporante), e che la erogazione finale era stata effettuata da un terzo istituto di credito, ossia una Banca Popolare.

La Mediatrice, allora, invitava la Incorporante e la Popolare al pagamento della provvigione: ricevendo dalla Incorporante (nel silenzio della Popolare) la precisazione che quello sportello in Catania non le apparteneva affatto, essendo stato ceduto il relativo ramo di azienda alla Popolare.

La Popolare, informata di tale risposta e nuovamente invitata al pagamento, ometteva alcun riscontro.

La Mediatrice, pertanto, riteneva di convenire in giudizio la sola Popolare, chiedendone la condanna al pagamento della provvigione; la Popolare, a sua volta, chiedeva di chiamare in giudizio la Incorporante, indicandola quale effettiva debitrice della provvigione.

Il Giudice di primo grado, accogliendo le richieste della Popolare, rigettava la domanda nei confronti della stessa, condannando la Mediatrice alle spese (vedi doc_02).

La sentenza, tuttavia, era evidentemente frutto di una serie di equivoci, errori e di sviste, tra cui la applicazione di una massima della Cassazione del tutto erronea rispetto al contenuto della sentenza da cui era stata tratta: errori che legittimavano senz'altro la proposizione dell'appello (vedi doc_03).

Può essere utile - per approfondire l'oggetto del giudizio - leggere la comparsa conclusionale della Mediatrice (vedi doc_04).


=o=O=o=


Un altro esempio, riguarda invece un caso in cui la decisione di primo grado (vedi doc_05) era del tutto incomprensibile, così da rendere necessario, con l'appello, approfondire in dottrina la materia della usucapione delle servitù non apparenti (vedi doc_06).

In questo caso, la comparsa conclusionale dell'appellante contiene - oltre alla illustrazione delle difese - anche diverse citazioni dottrinarie, risalenti nel tempo, ma rimaste autorevolissime ed attuali (vedi doc_07).

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10 - ammissibilità in appello di nuove domande, nuove eccezioni, nuovi documenti e nuove istanze istruttorie


Nel giudizio di appello, a mente dell'art. 345 CPC, non sono ammissibili domande nuove, a meno che non riguardino gli interessi, i frutti e gli accessori maturati successivamente alla sentenza impugnata, ed il risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza stessa.

Non si possono proporre nemmeno nuove eccezioni, ma solo sollecitare il Giudice d'Appello ad attenzionare eventuali eccezioni rilevabili d'ufficio.

E' invece sempre possibile dedurre una nuova e diversa qualificazione giuridica dei fatti già acquisiti al processo.

Possono riproporsi le istanze istruttorie non ammesse in primo grado purché formulate nei termini di cui all'art. 183 co. 6 n. 3 CPC: ma soltanto quando le stesse non debbano ritenersi rinunciate, perché la parte non le ha ripetute in sede di precisazione delle conclusioni (11).


Quanto ai nuovi documenti ed alle nuove prove, la situazione è regolata in modo differente nei diversi procedimenti:

- nel rito ordinario, l'art. 345 CPC, come modificato dal D.L. n. 83/2012, limita la ammissibilità di nuove richieste istruttorie e la produzione di nuovi documenti alla sola ipotesi in cui la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli per causa ad essa non imputabile, ed ammette il deferimento del giuramento decisorio (omettendo alcun riferimento, positivo o negativo, al giuramento suppletorio);

- nel rito lavoro, l'art. 437 CPC esclude l'ammissibilità di nuovi mezzi di prova (omettendo, sicuramente per mero errore, di fare esplicito riferimento ai nuovi documenti), ammettendoli nella sola ipotesi che il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione e facendo salvo il deferimento del giuramento decisorio e del giuramento estimatorio (che costituisce una delle due sottospecie del giuramento suppletorio, e che l'art. 241 CPC chiama "giuramento d'estimazione") ma dimenticando il giuramento suppletorio;

- nel rito sommario di cognizione, l'art. 702 quater CPC ammette nuovi mezzi di prova e nuovi documenti non solo quando la parte dimostri di non aver potuto proporli nel corso del procedimento sommario per causa ad essa non imputabile, ma anche (ciò che non è più possibile nel rito ordinario) quando il collegio li ritiene indispensabili ai fini della decisione, e non fa cenno al giuramento (decisorio o suppletorio che sia), che dovrebbe viceversa essere sempre ammissibile.


La completa disomogeneità delle tre diverse formulazioni costituisce un pessimo esempio di tecnica legislativa: atto a creare incertezza e a dare luogo ad infiniti contrasti dottrinali e giurisprudenziali.

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11 - la c.d. inibitoria (o istanza di sospensione della esecuzione provvisoria)


Poiché le sentenze di primo grado sono da tempo provvisoriamente esecutive, potrebbe essere necessario domandare la sospensione della esecuzione provvisoria della sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 283 CPC, sempre che si tratti di sentenza suscettibile di fondare una esecuzione forzata.

Poiché la inammissibilità o la manifesta infondatezza di tale richiesta può comportare una pena pecuniaria da 250,00 a 10.000,00 euro (comminata con ordinanza non impugnabile, ma eventualmente revocabile solo con la sentenza), occorrerà:

- inserirla necessariamente nell'atto di appello (anche incidentale);

- proporla esclusivamente quando sussistano gravi e fondati motivi, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti (e, comunque, il Giudice dovrà valutare anche il fumus boni iuris dell'impugnazione), ovvero - come più restrittivamente previsto nelle cause di lavoro per le sentenza pronunciate a favore del lavoratore - qualora si lamenti il pericolo di un gravissimo danno (art. 431 CPC);

- tenere presente che il Giudice potrà, accogliendo l'inibitoria, imporre alla parte richiedente il versamento di una cauzione, di solito corrispondente all'importo da pagare.


L'art. 433 co. 2 prevede, per le cause di lavoro, uno speciale tipo di impugnazione: quella - con riserva dei motivi d'appello, che dovranno essere presentati entro il termine di decadenza dalla impugnazione - finalizzata a richiedere la sospensione dell'esecuzione provvisoria, nel caso in cui il lavoratore abbia promosso l'esecuzione sulla base del solo dispositivo.

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12 - il petitum


Alla luce delle critiche che abbiamo mosso alla decisione impugnata, chiederemo conseguentemente che la Corte d'Appello:

- preliminarmente (se abbiamo formulato la relativa richiesta) sospenda ai sensi dell'art. 351 CPC l'esecuzione provvisoria della sentenza;

- nel merito, previa ammissione di prove non ammesse in primo grado, o (dove possibile) di nuovi documenti o nuove prove, in riforma della sentenza appellata, accolga (o rigetti) la domanda formulata in primo grado, con la condanna dell'appellato alle spese del doppio grado di giudizio ed eventualmente - ricorrendone gli estremi - al risarcimento del danno da responsabilità aggravata, ai sensi dell'art. 96 CPC.

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13 - l'appello incidentale


Normalmente, la parte appellata ha soltanto l'onere - nel costituirsi tempestivamente - di reiterare le proprie difese nonché di riproporre espressamente le eccezioni non accolte con la sentenza di primo grado, le quali altrimenti si intendono rinunciate (art. 346 CPC).

Diverso è il caso in cui l'appellato (anch'egli soccombente nel giudizio di primo grado, anche se per altro verso, come l'appellante) intenda riproporre una domanda che gli sia stata in tutto od in parte respinta: giacché l'unico modo possibile per riproporre tale domanda (sul cui rigetto si formerà altrimenti il giudicato) sta nell'appellare la sentenza sul relativo capo.


Senonché, la notificazione della sentenza al difensore avversario, su nostra richiesta, non fa soltanto decorrere il termine "breve" per la nostra controparte, ma anche per noi stessi: con la conseguenza che - allorquando ci costituiremo nel giudizio d'appello - il termine per appellare sarà scaduto (12).

Entra qui in gioco la norma (art. 343 CPC) che regola l'appello incidentale, ossia l'impugnazione proposta dall'appellato: cosa che può fare, secondo il codice di rito, a pena di decadenza, all'atto della (tempestiva) costituzione in appello ovvero, se il suo interesse ad impugnare sorge per effetto dell'appello proposta da altra parte che non sia l'appellante principale, entro la prima udienza (ciò che implicherà il rinvio della trattazione, con concessione di un termine alle altre parti).


Ciò che sembra semplice, in realtà, non lo è:

- perché solo la impugnazione incidentale "tempestiva" (purché non abbiamo prestato acquiescenza alla sentenza) non conosce rischi di inammissibilità derivanti dalla sua indipendenza dall'appello principale, e non viene paralizzata nel caso di inammissibilità o improcedibilità dell'appello principale;

- perché, essendo il termine per una autonoma impugnazione già normalmente scaduto al momento della sua costituzione, l'appellato può solo proporre un appello "appello incidentale tardivo".


La regola può sintetizzarsi in ciò: che l'appello incidentale "tardivo" è ammissibile soltanto quando tenda a compensare - a fronte dell'impugnazione principale - il complessivo equilibrio sancito dalla sentenza di primo grado, e non quando consista nella semplice riproposizione (tardiva) di una domanda rigettata con la sentenza; e la stretta dipendenza che deve sussistere tra ricorso principale e ricorso incidentale tardivo è confermata dal pacifico principio giurisprudenziale secondo cui il ricorso incidentale tardivo diventa inefficace laddove il ricorso principale sia stato dichiarato improcedibile o inammissibile (Cass. 20963/2018).

Va poi ricordato che una impugnazione incidentale tardiva, consentita (nei limiti sopra cennati) nei confronti dell'appellante principale, è certamente inammissibile se proposta nei confronti di una terza parte, non appellante principale.


Per evitare di incorrere in rischi di tal fatta, sarà opportuno - ogni qualvolta vi sia un interesse all'impugnazione "incidentale" - proporre un autonomo, tempestivo, appello, senza sfidare la sorte con un appello incidentale tardivo: il giudizio resterà comunque unico, giacché ai sensi dell'art. 335 CPC tutte le impugnazioni, proposte separatamente contro la stessa sentenza, debbono essere riunite, anche d'ufficio, in un unico processo.


Potremo anche formulare una impugnazione "condizionata" all'accoglimento dell'impugnazione principale: per esempio, al fine di riproporre una eccezione preliminare di rito o di merito, utile a paralizzare l'appello principale ma disattesa con la sentenza di primo grado (v. in dottrina, fra gli altri, C. Mandrioli, Diritto processuale civile, Giappichelli, 2019).

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14 - la notificazione in proprio dell'avvocato, a mezzo PEC o a mezzo posta

Il modo più veloce per eseguire la notifica del nostro atto di appello (e che consente di conoscere immediatamente il suo esito) è la posta elettronica certificata: di cui possiamo dotarci, gratuitamente, presso il nostro consiglio dell'Ordine, che provvederà a comunicare il nostro indirizzo al Re.G.Ind.E., e attraverso la quale riceveremo tutte le comunicazioni di cancelleria.

Tale notifica può avere ad oggetto sia un atto cartaceo che un atto "nativo digitale" (forma indispensabile qualora l'atto sia destinato ad essere depositato telematicamente): nel secondo caso, non occorrerà includere, nella relazione di notifica, nessuna attestazione di conformità, ma semplicemente firmare digitalmente il file.

La "firma digitale" (acquistabile presso l'Ordine, o presso qualunque rivenditore, o presso la Camera di Commercio) contiene due "certificati": quello "DI FIRMA", che appunto consente la sottoscrizione di un documento, e quello "DI AUTENTICAZIONE", che ci permetterà di accedere al PolisWeb, ed a numerosi siti utilissimi, come quello dell'Agenzia delle Entrate.

Tali certificati hanno una durata massima di tre anni: e vanno rigorosamente rinnovati, anche online, PRIMA della scadenza (scaricando sulla relativa "SIM" quelli nuovi), altrimenti occorrerà farsi rilasciare una nuova smart card, con un costo ben superiore a quello, modesto, occorrente per il semplice rinnovo.

Essendo equivalenti tra loro, possiamo utilizzare indifferentemente entrambi i formati di firma (Pades, con estensione "_signed.pdf" e Cades, con estensione ".p7m"): tenendo presente che nel secondo caso, occorrerà (prudenzialmente) indicare che, per la lettura del file ".p7m", occorre avvalersi di uno specifico software, tra quelli reperibili sulla relativa pagina del sito "agid.gov.it" (http://www.agid.gov.it/agenda-digitale/infrastrutture-architetture/firme-elettroniche/software-verifica).

Occorrerà redigere, in documento necessariamente separato, la "relazione di notifica", che andrà anch'essa sottoscritta con firma digitale. Il contenuto minimo di tale relata di notifica è verificabile su diversi siti internet, sui quali si trovano vari vademecum redatti come si deve.

Fatto questo, il nostro messaggio di posta elettronica certificata va inviato necessariamente all'indirizzo di PEC del destinatario risultante dai "pubblici elenchi" indicati dall'articolo 66, comma 5, del D.Lgs. 13 dicembre 2017, n. 217: l'utilizzo di un indirizzo diverso comporterà la nullità della notifica.

Occorre poi indicare, quale oggetto del messaggio, la frase «notificazione ai sensi della legge n. 53 del 1994»: prescritta al fine di richiamare l'attenzione del destinatario sul contenuto e sulla particolare importanza del messaggio di PEC.

Per il perfezionamento della notifica occorre che il messaggio sia effettivamente preso in carico dal gestore di posta certificata del destinatario (ciò che verrà attestato nella ricevuta di avvenuta consegna), il che può non avvenire:

- perché la casella PEC del destinatario non può ricevere messaggi per avvenuto saturamento della sua capacità (cd. casella piena), o perché il destinatario non ha curato il rinnovo del relativo servizio;

- per un banale (ma fisiologico) errore del sistema di posta certificata, del quale non verremo a conoscenza immediatamente, bensì entro il termine di ventiquattro ore, previsto dall'art. 8 del DPR 68/2005, attraverso una comunicazione del nostro gestore di posta certificata.

In entrambi i casi, la notifica non sarà andata a buon fine, ed occorrerà ripeterla (anche a mezzo posta o a mezzo di ufficiale giudiziario).

Per tale motivo è assolutamente sconsigliabile ridursi all'ultimo giorno utile.

Va poi tenuto presente che, nel caso di mancata notifica dell'impugnazione nel termine, non potremo rimanere inerti fino all'udienza di comparizione, confidando nella concessione di un termine per la rinnovazione della notifica (che, peraltro, non potremo rinnovare in quanto inesistente, e non semplicemente nulla).

Infatti, per come statuito dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite (n. 14594/2016) e tuttora ripetutamente confermato dalle sezioni semplici:

"La parte che ha richiesto la notifica, nell'ipotesi in cui non sia andata a buon fine per ragioni a lei non imputabili, appreso dell'esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria, deve attivarsi con immediatezza per riprendere il processo notificatorio e deve svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento. Questi requisiti di immediatezza e tempestività non possono ritenersi sussistenti qualora sia stato superato il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall'art. 325, c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data rigorosa prova".


La prova della notifica è costituita dalle ricevute di accettazione e di avvenuta consegna del nostro messaggio PEC: ricevute che dovremo necessariamente (trattandosi di atto infraprocessuale) depositare telematicamente, anche nel caso di iscrizione a ruolo cartacea.

Per farlo, dovremo estrarre dal nostro programma di posta i due files con estensione ".EML" oppure ".MSG" e depositarli, insieme ad una semplice "nota di deposito" nella quale specificheremo di che deposito si tratta.

Non è invece possibile il deposito cartaceo delle copie cartacee delle ricevute PEC, con relativa attestazione di conformità, a meno che non debba farsi in uffici (Giudice di Pace e Corte di Cassazione) in cui il processo telematico non è ancora attivo.


=o=O=o=


Altra procedura di notifica - effettuata in proprio dall'avvocato, ai sensi della L 53/1994, è quella a mezzo del servizio postale: cui ricorreremo per esempio - se non vogliamo rivolgerci all'ufficiale Giudiziario territorialmente competente - nel caso di insuccesso della notifica a mezzo PEC, o qualora il destinatario possieda un indirizzo PEC che non risulta dal Reginde o da uno degli altri registri pubblici sopra specificati.


L'atto da notificare, ovviamente, sarà una copia cartacea del nostro ricorso "nativo digitale", che provvederemo a firmare (a penna), aggiungendovi in fine la relazione di notifica.


Il vantaggio di tale forma di notifica non sta solo nell'evitare una fila all'ufficio notifiche, ma altresì nella possibilità (per l'avvocato e non per l'Ufficiale Giudiziario) di notificare qualunque proprio atto, indipendente dalla sede del Giudice adito e dalla residenza del destinatario.


Attenzione, però: mentre le notifiche a mezzo PEC possono essere eseguite da ogni avvocato, per le notifiche a mezzo posta è indispensabile la previa autorizzazione del Consiglio dell'Ordine, che ci rilascerà un registro cronologico vidimato; occorrerà poi acquistare alle Poste le apposite buste verdi per avvocati (codice MDV00020V), nonché degli avvisi di ricevimento verdi (mod. 23L, codice MDV04100BV) e delle ricevute di accettazione per "raccomandata descritta" (mod. 22AG, codice MDV04001AV).

Prendendo a modello le dettagliate prescrizioni relative alle notificazioni a mezzo PEC (art. 3 bis), la relazione di notifica dovrà contenere:

- il nome, cognome ed il codice fiscale dell'avvocato notificante;

- gli estremi del provvedimento autorizzativo del consiglio dell'ordine nel cui albo è iscritto;

- il nome e cognome o la denominazione e ragione sociale ed il codice fiscale della parte che ha conferito la procura alle liti;

- il nome e cognome o la denominazione e ragione sociale del destinatario;

- per le notificazioni effettuate in corso di procedimento, l'ufficio giudiziario, la sezione, il numero e l'anno di ruolo.


E' importante ricordare:

- di indicare nella relata il numero della raccomandata (quello indicato sotto il codice a barre della ricevuta di accettazione);

- di incollare sulla busta il codice a barre, con il numero di raccomandata, che si trova sulla ricevuta di accettazione;

- di indicare nella relata la data di spedizione del plico;

- di sottoscrivere la relata (in originale e copia) nonché la busta;

- di far apporre dall'ufficio postale il timbro di vidimazione, sia sulla copia - prima di inserirla nella busta - sia sull'originale.


E' poi necessario:

- indicare come mittente, nell'avviso di ricevimento, "per le notificazioni di atti effettuate prima dell'iscrizione a ruolo della causa o del deposito dell'atto introduttivo della procedura", la parte istante e il suo procuratore (p. es.: avv. Marco T. Cicerone, quale difensore di Aulo Augerio);

- indicare nell'avviso di ricevimento, "per le notificazioni effettuate in corso di procedimento" anche l'ufficio giudiziario, la sezione, il numero e l'anno di ruolo.


In caso di notifica a mezzo posta (a differenza di quelle a mezzo PEC) al momento di produrre l'atto notificato occorrerà apporre una marca da bollo, dei seguenti importi:

- fino a tre destinatari, € 2,58 (originarie Lit. 5.000);

- da tre a sei destinatari, € 7,75 (originarie Lit. 15.000);

- oltre sei destinatari, € 12,39 (originarie Lit. 24.000).

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15 - la comunicazione di avvenuta impugnazione


Quando sia l'avvocato a provvedere in proprio alla notificazione della impugnazione, è suo esclusivo onere effettuare la comunicazione di cui all'art. 123 disp.att. CPC alla Cancelleria del giudice che ha emesso la decisione impugnata: ciò che, nel caso di notifiche a mezzo dell'Ufficiale Giudiziario, viene espletato dall'Ufficiale Giudiziario.

Se la sentenza impugnata è del Giudice di Pace, presso il quale non esiste un vero e proprio fascicolo telematico, dovremo depositare tale comunicazione, in forma cartacea, insieme alla copia cartacea dell'appello, nonché delle ricevute di accettazione e di avvenuta consegna, di cui attesteremo la conformità all'originale.

Se la sentenza impugnata è stata pronunciata dal Tribunale, invece, la comunicazione andrà necessariamente effettuata con deposito telematico: redigendo una nota di comunicazione, come atto generico, ed allegando (in formato eml o msg) le ricevute di accettazione e di avvenuta consegna relative alla notifica.

Se però abbiamo eseguito la notifica (cartacea) a mezzo posta, allegheremo alla nota di deposito (vedi doc_08) copia informatica (mediante scansione) dell'atto con la relata, la ricevuta della raccomandata e il relativo avviso di ricevimento, attestando la conformità di tali copie informatiche agli originali.

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16 - l'iscrizione a ruolo telematica


L'iscrizione a ruolo dell'appello può ancora (tranne che nell'emergenza COVID19 13) essere eseguita in forma cartacea: depositando l'appello e copia autentica della sentenza impugnata, il fascicolo di parte di primo grado, e gli eventuali ulteriori documenti, dei quali si deduca l'ammissibilità per non averli potuti produrre per causa non imputabile al nostro cliente, o indicati come indispensabili per la decisione.

La forma telematica è però la migliore, in quanto - soprattutto se abbiamo redatto un evoluto atto introduttivo, dotato di collegamenti ipertestuali con i vari allegati - mette a disposizione del Giudice un agevole strumento di lettura e di consultazione dei documenti del fascicolo;

ancora, assicura che nessun documento possa andare smarrito (cosa che spesso accade, e che impone alle parti l'onere di ricostruire il proprio fascicolo, laddove ne abbiano fatto diligentemente copia).

Nel prossimo futuro, può ragionevolmente ritenersi che la forma cartacea venga presto eliminata dal processo civile.

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17 - la decisione di secondo grado


Nel giudizio di appello ciascuna delle parti potrà richiedere, al momento della precisazione delle conclusioni, che la causa venga discussa oralmente dinanzi al collegio (art. 352 co. 2 CPC); tale richiesta, tuttavia, innanzi alla Corte d'Appello, deve essere espressamente riproposta al Presidente entro la scadenza del termine per il deposito della memoria di replica.

Nella pratica, tale richiesta viene formulata assai raramente:

- perché la discussione orale, che comporta la fissazione di una nuova udienza collegiale, costituisce per il Collegio una presumibile perdita di tempo, potendo vertere la discussione orale esclusivamente sulla illustrazione delle posizioni già assunte e delle tesi già svolte negli atti di causa (comprese conclusionale e replica);

- perché, qualora la Corte ometta di dare seguito alla richiesta, pur formulata ritualmente, e non fissi l'udienza di discussione, ciò non costituirà normalmente violazione del diritto di difesa, né potrebbe essere motivo di impugnazione in Cassazione:

a meno che - avanti alla Corte di Cassazione - non si possa dedurre specificamente (e convincentemente) quali aspetti della causa si sarebbero potuti utilmente evidenziare o approfondire, colmando lacune e integrando gli argomenti dei rilievi già contenuti nei precedenti atti difensivi.

Non è raro, poi, l'umiliante caso in cui il Presidente, durante l'udienza fissata per la discussione orale, solleciti più volte l'avvocato ad abbreviare la propria arringa, sottolineando come essa costituisca una semplice ripetizione delle difese già svolte.


=o=O=o=


Definendo il giudizio di appello, la Corte - se non emetterà una pronuncia solo sul rito - deciderà l'impugnazione nel merito, accogliendola in tutto od in parte, o rigettandola.

Occorre ricordare che, ogni qualvolta la Corte abbia rigettato l'impugnazione esaminando il merito della causa, confermando in toto la sentenza di primo grado, il titolo esecutivo non sarà più costituito dalla decisione "confermata" bensì da quella di appello, che si sostituisce ad essa.

Ciò significa che, per poter validamente iniziare l'esecuzione forzata, è questa seconda decisione che andrà notificata in forma esecutiva, avendo perduto tale efficacia quella di primo grado (e diventando irrilevante l'eventuale notifica della stessa, già precedentemente eseguita).


Va tenuto infine presente che, allorquando l'impugnazione (principale o incidentale) venga respinta integralmente o venga dichiarata inammissibile o improcedibile, la Corte dovrà dichiarare, in sentenza, la ricorrenza dei presupposti per porre a carico della parte proponente un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione (art. 13, co. 1 quater, DPR n. 115/2002);

fermo restando che, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 96 CPC, la condanna alle spese della parte soccombente può comportare - in aggiunta - la condanna al pagamento, in favore dell'altra parte, "di una somma equitativamente determinata": il che - diverse volte - ha dato luogo a discusse ingenti condanne, talvolta davvero esagerate.

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18 - le sentenze che definivano gli appelli, nei due esempi sopra esaminati


Per completare l'analisi degli esempi, offerti nel paragrafo #9, sarà interessante esaminare le relative decisioni d'appello: in entrambe le quali la Corte d'Appello di Catania riformava totalmente le decisioni di primo grado (vedi doc_9, sentenza in materia di mediazione anno 2020, e doc_10, sentenza in materia di usucapione di servitù non apparente, anno 2017).

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- fine -



1sono pure inappellabili le ordinanze pronunciate sulla competenza (art. 44 CPC), le sentenze di lavoro o previdenza di valore inferiore a € 25,82 (art. 440 CPC), quelle non definitive qualora la parte abbia formulato riserva di impugnazione (art. 340 co. 2 CPC), e le sentenze per le quali le parti abbiano pattuito di omettere l'appello (art. 339 CPC)

2trascurare l'etica per compiacere il cliente costituisce, invece, una violazione del dovere di indipendenza imposto all'avvocato dall'art. 9 del codice deontologico forense

3la L. 749/1969 rinvia all'art. 92 dell'ordinamento giudiziario (cause trattate nel periodo feriale) ed agli artt. 419 e 459 CPC nel testo anteriore alla L. 533/1973: sicché quest'ultimo rinvio deve oggi intendersi agli artt. 409 e 442 CPC.

4per esempio, le cause di locazione, benché trattate con il rito del lavoro, non sono soggette alla sospensione feriale «poiché l'esclusione prevista dall'art. 3 della l. n. 742 del 1969 per le controversie di lavoro si riferisce alla natura della causa e non al rito da cui è disciplinata» (Cass. n. 22389/2015)

5 v. Cassazione civile , sez. II , 30/04/2012 , n. 6601: «Ai fini della verifica della tempestività della costituzione del convenuto, il termine di cui all'art. 166 c.p.c., al pari di tutti i termini a ritroso, deve essere calcolato considerando quale dies a quo, non computabile per il disposto dell'art. 155, comma 1 c.p.c., il giorno prima del quale va compiuta l'attività processuale, e, dunque, il giorno dell'udienza di comparizione indicata nell'atto di citazione, ovvero quello differito ai sensi dell'art. 168 bis, comma 5, c.p.c., e quale dies ad quem, invece computabile in quanto termine non libero, il ventesimo giorno precedente l'udienza stessa».

6per esempio, un sito apparentemente professionale ospita diversi articoli in materia di successioni, secondo i quali - secondo me erroneamente - un testamento apocrifo può impugnato solo entro cinque anni dall'apertura della successione (https://www.laleggepertutti.it/193148_termini-per-impugnare-testamento)

7 nel caso di ricorso, v. Cass. 453/2020, che distingue l'ipotesi della inesistenza della notificazione da quella di una notifica bensì eseguita, ma viziata da nullità.

8ai sensi dell'art. 13 co. 3 bis e co. 6 bis del DPR 115/2002

9D.M. 21-02-2011, Art. 20

(...) 2. Il soggetto abilitato esterno né tenuto a dotare il terminale informatico utilizzato di software idoneo a verificare l'assenza di virus informatici per ogni messaggio in arrivo e in partenza e di software antispam idoneo a prevenire la trasmissione di messaggi di posta elettronica indesiderati.

3. Il soggetto abilitato esterno è tenuto a conservare, con ogni mezzo idoneo, le ricevute di avvenuta consegna dei messaggi trasmessi al dominio giustizia.

4. La casella di posta elettronica certificata deve disporre di uno spazio disco minimo definito nelle specifiche tecniche di cui all'articolo 34.

5. Il soggetto abilitato esterno è tenuto a dotarsi di servizio automatico di avviso dell'imminente saturazione della propria casella di posta elettronica certificata e a verificare la effettiva disponibilità dello spazio disco a disposizione.

10 a meno di una motivazione mancante sotto l'aspetto materiale e grafico, ovvero solo apparente (ma del tutto incongrua), o fondata su affermazioni inconciliabili, oppure perplessa od obiettivamente incomprensibile, che si traduce in violazione delle norme procedimentali (Cass. 32021/2019)

11Cassazione civile sez. II, 31/05/2019, n.15029

12non ha tale effetto, invece, la notificazione dell'appello principale (Cass., sez. VI, 4 dicembre 2018, n. 31251)

13cfr, sino al 31-05-2020, l'art. 2 comma 6 del decreto legge 8 marzo 2020 n. 11